Martedì 9 aprile in commissione Giustizia del Senato la maggioranza parlamentare ha deciso il passaggio del contestato disegno di legge 735 (il cosiddetto “ddl Pillon”, dal nome del senatore leghista che l’ha proposto) dalla sede redigente alla sede referente, nonostante  qualche giorno prima Vincenzo Spadafora, sottosegretario alla presidenza del Consiglio del M5S, avesse detto che il ddl era stato «archiviato» e nonostante da  ottobre 2018 la commissione avesse iniziato le audizioni a cui hanno partecipato centri antiviolenza, associazioni, legali, psicologi, esperti di diritto.

Tutte le associazioni femminili e tutte le associazioni specialistiche in materia di famiglia (Aiaf, Osservatorio, Forum Donne Giuriste, Ami, CNF)  hanno criticato i ddl presentati ritenuti inemendabili.

I  movimenti femministi  ne chiedono il ritiro  non ritenendoli migliorabili o emendabili.

Il ddl é stato criticato anche dalle relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne, Dubravka Šimonović e Ivana Radačić, che lo scorso 22 ottobre avevano scritto una lettera preoccupata al governo italiano. Nella lettera dell’ONU si dice che le modifiche introdotte dal ddl porteranno a «una grave regressione che alimenterebbe la disuguaglianza di genere» e che non tutelano le donne e i bambini che subiscono violenza in famiglia. Le critiche dell’ONU riprendono quelle già avanzate in Italia da vari fronti, che sono tutti compatti e concordi nel dire che cosa nel ddl non funziona: ostacola la libertà di scelta separativa rendendola complicata ed onerosa, non tutela l’interesse del minore soprattutto quando entra in gioco il discusso concetto di alienazione parentale, persegue una bigenitorialità coatta, introduce l’obbligatorietà del ricorso a un mediatore privato a pagamento nelle separazioni con figli minori, comprese quelle legate a violenza e abusi.