DALLA LEGGE 1126/1919 AD OGGI

Torino 28 novembre 2019

Il contributo delle avvocate al riconoscimento dei diritti delle donne

Giovanna Fava

 L’ingresso delle donne nelle professioni e più in generale nel sistema giustizia è una conquista relativamente recente. A Torino presso la Fondazione “Fulvio Croce” abbiamo celebrato i 100 anni di professione al femminile “dalla legge 1126/1919 ad oggi”  ricordando Lidia Poet, la prima avvocata iscritta all’albo degli avvocati del Foro di  Torino:

Lidia Poet, valdese, si trasferì  adolescente a Pinerolo presso uno dei fratelli maggiori, Enrico, di professione avvocato. Nel 1878 si iscrisse alla facoltà di legge dell’Università di Torino e si laureò in giurisprudenza il 17 giugno 1881, dopo aver discusso una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne. Superati gli esami per diventare procuratore legale, chiese di entrare nell’Ordine degli Avvocati di Torino. La richiesta suscitò polemiche, ma non essendoci un divieto specifico, fu accolta a maggioranza ed il 9 agosto 1883,  Lidia Poët divenne la prima donna iscritta all’ordine. L’iscrizione non piacque al procuratore generale che fece denuncia alla Corte d’appello di Torino. Nonostante le repliche e gli esempi di donne avvocate in altre nazioni l’11 novembre 1883 la Corte di Appello accolse la richiesta del procuratore. Lidia Poët presentò un ricorso articolato alla Corte di Cassazione che però confermò tale decisione.

Al termine del conflitto mondiale una legge, la n. 1179 del 17 luglio 1919, nota come legge Sacchi, abolì l’autorizzazione maritale e autorizzò le donne ad entrare nei pubblici uffici, ad eccezione della magistratura, della politica e dei ruoli militari.

Solo a quel punto, nel 1920, all’età di 65 anni, Lidia Poët poté entrare a pieno titolo nell’Ordine, divenendo ufficialmente avvocata.

Nel 1922 divenne presidente del Comitato pro voto donne e solo la sua longevità (morì a Diano Marina all’età di 94 anni il 25 febbraio 1949) le consentì di vedere il risultato della sua battaglia di civiltà: la conquista del voto alle donne avvenuta pochi anni prima, nel 1946..

Anche all’estero il caso della donna-avvocato non ebbe maggior fortuna: la Corte d’Appello di Bruxelles con sentenza del 12 dicembre 1888, su domanda di Marie Popelin, dichiarò che le donne non possono esercitare l’avvocatura, avuto riguardo alla loro missione nella famiglia e nella società, poco compatibile con i doveri e la professione di avvocato.

In Francia la questione venne affrontata  per la prima volta nel 1897: Giovanna Chauvin , laureatasi in legge nel 1892, dopo aver regolarmente fatta la pratica, e anche professato diritto in alcune scuole di Parigi, domandò di essere ammessa ad esercitare l’avvocatura, avendo tutti i requisiti e presentando tutti i documenti voluti dalla legge. Per lei furono avanzate  le stesse obiezioni opposte in Italia alla Poet.

A partire dalla nostra antesignana l’ingresso delle donne nel sistema giustizia ha incontrato non pochi ostacoli, le donne hanno dovuto lottare  contro il sistema che  pretendeva di considerarle inadatte per natura e sottoposte all’autorità maritale.

Fra queste Angiola Sbaiz, friulana, brillante studentessa all’università di Bologna si laurea con una tesi sulla separazione dei poteri nel diritto positivo, si iscrive all’albo dei procuratori di Bologna nel 1934, quando diviene avvocato, nel 1941, è la quinta donna ad iscriversi nell’albo maggiore. La Sbaiz è anche la prima donna a diventare presidente dell’ordine degli avvocati di Bologna e a svolgere un’importante ruolo nella formazione della classe forense, evidenziando la necessità per l’avvocatura di essere al passo con i tempi.

Nel frattempo altre donne si erano laureate in giurisprudenza: Silvia Giaccone di Mondovì, Pigonna di Ancona, Romelia Troie. La discriminazione colpì anche le docenti: Teresa Labriola, in quanto docente di filosofia all’università di Roma, aveva diritto “automatico” all’iscrizione all’albo, cosa che avvenne con delibera dell’Ordine di Roma dell’11 luglio 1912, ma anche la sua iscrizione venne impugnata dalla Procura e la Corte D’appello ne respinse l’iscrizione  il 30.10.1912. La Corte affermò che seppure l’avvocato non era un pubblico ufficiale la sua attività aveva attinenza e moltissima con il diritto pubblico e con i poteri giudiziari.

Quel provvedimento, per noi donne negativo, aveva già in sé il riconoscimento del  ruolo costituzionale dell’avvocatura che oggi chiediamo con forza.

Oggi noi possiamo  dire che si è raggiunta una parità legislativa e  numerica nel sistema giustizia ma il “soffitto di cristallo” non è ancora stato infranto: ancora poche le donne ai vertici del CNF e Cassa Forense e a presiedere i  Consigli dell’Ordine, inoltre, a segnare la differenza, permane ancora una rilevante disparità reddituale tra avvocati donna e avvocati uomini.

Né possiamo dimenticare che se le donne hanno dovuto lottare contro un sistema che le vedeva incapaci di difendere, questo è avvenuto ancora più tardi per quanto riguarda l’idoneità a giudicare.  E’ il 9 febbraio 1963 la data fondamentale per l’ingresso delle donne in magistratura. Ci sono voluti ben quindici anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione per avere l’affermazione del principio di uguaglianza fra i sessi nell’accesso in magistratura.

Mentre l’ordine maschile era in re ipsa, e quindi non aveva alcuna necessità di legittimazione, le donne sono state chiamate a  giustificare la loro “pretesa” di accedere a tutte le professioni. Ne è derivato che l’esercizio della professione di avvocata si è rivelato strettamente connesso alla difesa dei diritti delle donne in quanto tali: si lottava per i diritti dei più deboli e contestualmente ed  inevitabilmente per sé. Le donne avvocato erano pertanto, a prescindere dalle loro convinzioni politico-partitiche, obbligate ad essere femministe.

Perché, come ha detto Bertold Brecht “quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere”. Ne è stato un esempio Bianca Guidetti Serra,  una delle prime donne penaliste in Italia, partecipò alla Resistenza e fu promotrice dei “Gruppi di difesa della donna” e, finita la guerra coniugò la professione con l’impegno politico per la riforma del diritto di famiglia, la depenalizzazione dell’aborto, la parità salariale tra uomo e donna, la riforma delle adozioni, il diritto all’obiezione di coscienza. Significativi i processi dove difese donne accusate di omicidio del marito in contesti di violenza domestica.

Negli anni 60-70 le donne avvocato erano numericamente poche ma sono state decisive nella tutela dei diritti delle persone e delle donne fra queste mi piace ricordare Augusta Bassi, coniugata Lagostena, detta Tina Lagostena Bassi (Milano2 giugno 1926 – Roma4 marzo 2008), avvocata e politica italiana.  Celebre per aver difeso i diritti di Donatella Colasanti contro Angelo Izzo nel processo sul Massacro del Circeo, e della vittima di stupro nel primo Processo per stupro ad essere filmato e mandato in onda dalla RAI. Nelle sue arringhe descrisse la violenza subita dalla vittima portando nei tribunali la realtà della violenza sessuale e le modalità con cui venivano trattate giuridicamente le vittime. E’ suo il testo di iniziativa popolare sul quale a partire dal 1976 abbiamo chiesto una nuova legge che iscrivesse il reato di violenza sessuale  nei reati contro la persona anziché nei reati contro la morale. Le donne si fecero legislatrici e raccolsero oltre 300.000 firme, ben di più delle 60.000 richieste per presentare un progetto di legge di iniziativa popolare.

Una modifica legislativa che avvenne vent’anni dopo , con la legge n.66 del 1996.

Il movimento delle donne mise in luce  le discriminazioni  di cui le donne erano vittime  e le  limitazioni  all’esercizio della soggettività femminile  nei vari campi esistenziali in cui gli uomini si muovevano liberamente.  Le avvocate  diedero un contributo  importante per il riconoscimento in concreto  dei diritti fondamentali, che erano già scritti nella costituzione e negli atti internazionali, ma che non venivano riconosciuti nel concreto alle donne da parte delle leggi di merito e della codicistica in vigore oltre che della  giurisprudenza.

Tante le avvocate che hanno contribuito a svelare le  resistenze culturali e le difficoltà  delle istituzioni   (comprese le incertezze/ carenze  legislative)   a gestire il cambiamento nella costruzione di una società  fondata sulla effettiva parità tra uomini e donne e a difesa dei diritti umani.

Tutt’oggi tante le contraddizioni che si riscontrano nel rapporto  delle donne con la giustizia penale e civile. Sono certamente note alla avvocate che difendono  i diritti delle donne nelle vicende di violenza domestica le difficoltà  che si incontrano presso le sedi giudiziarie competenti a regolare i rapporti tra i genitori.  Ed invero non è affatto scontato  che   il fatto di reato pur contestato in sede penale, sia tenuto in considerazione nei provvedimenti di affido dei figli.

Un uomo maltrattante ha le stesse possibilità di ottenere l’affidamento condiviso del figlio di un uomo corretto e rispettoso, con la conseguenza che, alla fine, risulti premiato il genitore maltrattante.

Certamente le avvocate hanno contribuito a far sì che gli interessi  delle donne, misconosciuti e repressi  dal sistema di valori della società patriarcale, siano riconosciuti dall’ordinamento come diritti soggettivi e che la violenza maschile agita nei confronti delle donne sia stata riconosciuta come violazione dei diritti umani. Ma nelle aule giudiziarie, dove noi agiamo, il conflitto presuppone un’estata e simmetrica situazione di forza cosa che per le donne è ben lontana dall’essere realizzata.

Il percorso per garantire una parità processuale è ancora molto lungo e tortuoso.

La cultura patriarcale e gli stereotipi con cui dobbiamo combattere sono ancora tanti ed in questa battaglia di riconoscimento  ed affermazione di diritti la classe forense, uomini e donne, deve essere più che mai unita perché, come riconosciuto anche dal nostro presidente Mascherin, “chi difende i diritti dei più deboli lo fa prima col cuore e poi con il diritto”.

L’articolo è pubblicato anche  sul n.3/2019 della rivista della CASSA FORENSE